Arrestato per un reato legato alla droga, Stefano Cucchi si ritrova ad essere maltrattato dalla polizia italiana e da un sistema giudiziario in crisi. Basato su eventi veri.
Film drammatico italiano diretto da Alessio Cremonini, con protagonista Alessandro Borghi. Il film è basato sulla storia vera degli ultimi giorni di Stefano Cucchi, un geometra di 31 anni morto nel 2009 durante la custodia preventiva, vittima della brutalità della polizia.
La sera del 15 ottobre 2009, Stefano Cucchi, un giovane geometra edile, viene portato nel carcere di Regina Coeli a Roma dopo essere stato trovato in possesso di alcune confezioni di hashish, 2 grammi di cocaina e una pillola di un farmaco per l'epilessia.
Durante la custodia cautelare, Cucchi viene picchiato dagli agenti di polizia, nonostante continui a negare di essere stato trattato in modo così crudele. Nonostante le richieste di Stefano di scegliere il proprio avvocato, gli viene assegnato un difensore d'ufficio e il giudice stabilisce che Stefano deve rimanere in custodia a Regina Coeli. Nonostante i numerosi sforzi, i genitori di Stefano, Giovanni e Rita, e la sorella Ilaria non possono mai fargli visita.
Il 22 ottobre Stefano muore a causa delle numerose ferite riportate. Questo porta la sua famiglia, guidata dalla sorella Ilaria, a iniziare una battaglia per la verità e a cercare di trovare i responsabili della morte di Stefano, dopo essersi resi conto, guardando il suo cadavere all'obitorio, che è stato selvaggiamente picchiato.
"Ciao mà". L’ultima volta che Stefano Cucchi ha salutato la mamma Rita era la sera dell’8 ottobre 2009. Aveva incontrato di sfuggita la sorella Ilaria e il cognato Luca proprio sotto il portone del palazzo dei genitori. Era salito, aveva mangiato in sala da pranzo scambiando delle battute con Giovanni, il papà-ingegnere. Aveva poi deciso di non dormire lì quella notte ma di tornare nel suo quartiere per vedersi con alcuni amici. Prima però era passato a casa sua e aveva tagliato delle dosi di hashish che deteneva illegalmente nella sua abitazione. Quella notte in Via Lemonia, in un quartiere di Roma Sud, vicino ad un grande parco polmone della Capitale, la vita di Stefano si è spezzata.
Presentato nella sezione Orizzonti durante la fortunata 75esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Sulla mia pelle ricostruisce gli ultimi 7 giorni di vita di Stefano Cucchi, dall’arresto dell’8 ottobre alla mattina del 15 in cui il 31enne romano non si è più svegliato. Il regista Alessio Cremonini ci restituisce per immagini una vicenda dolorosa e controversa che nel corso di questi 9 anni siamo stati abituati a seguire nei tg o sui giornali. Ma d’altronde, come comprende bene il regista, un conto è la parola o la notizia e l’altro è la rappresentazione visiva, la testimonianza o ricostruzione visuale di carte processuali e vicende giudiziarie che tendono a oscurare il protagonista, chi il dolore l’ha vissuto sulla propria pelle. E nella pelle di Stefano ci si è messo l’attore Alessandro Borghi che per la parte perde circa 20chili così come aveva fatto Matthew McConaughey in Dallas Buyers Club nel 2013 e Christian Bale ne L’Uomo Senza Sonno. Diventa pelle ed ossa, ne prende i gesti e il modo di camminare con quelle mani in tasca e lo sguardo che a tutti i costi vuole nasconde la timidezza. Riproduce il tono di voce trascinato e l’accento spiccatamente romanesco che molti romani (come chi scrive) riconoscono in quelle zone di periferia. Ilaria, la sorella combattente è interpretata da Jasmine Trinca, anche lei incredibilmente somigliante.
Epilettico e con un passato di dipendenza definitivamente chiuso nel centro di San Patrignano, Stefano era un ragazzo come tanti che lavorava nei cantieri e passava le domeniche mattina a messa non tanto perché credeva, ma perché “sperava” come diceva lui. Sulla mia pelle dà voce a Stefano ragazzo, che per 7 giorni diviene vittima indifesa e senza voce di un calvario fisico e laconico che l’ha portato alla morte. E per farlo la regia e la messa in scena del regista Cremonini decidono di farsi asciutte ed essenziali. Gli ambienti asettici e freddi delle aule del tribunale, delle celle, delle stazioni dei carabinieri s’illuminano solo grazie alle lampade artificiali, la luce naturale è pressoché assente poiché tutto girato in interni. Perché dalla notte dell’arresto Stefano è passato nelle mani di agenti, medici, infermieri, poliziotti, agenti penitenziari o “assistenti” come volevano essere chiamati. Aveva più volte rifiutato l’aiuto dei medici, di chi gli chiedeva di dire la verità sul perché di quel viso gonfio e livido, ma la verità era troppo scomoda, troppo pericolosa. Stefano è passato dalla stazione dei carabinieri dove è stato pestato fino a spezzargli due costole, al letto del centro clinico del carcere di Regina Coeli attraverso un vero e proprio viaggio negli inferi dove hanno regnato l’impotenza, il potere, il silenzio, l’attenta deresponsabilizzazione di chiunque entrasse in contatto con Cucchi.
Il film trova la sua potenza proprio nella capacità di trattenere lo spettatore in una tensione-verità scomoda a molti che però ancora non ha trovato una sentenza definitiva. Ci mostra senza vergogna il dolore fisico, i lamenti, i pianti, l’affanno, la tosse, il respiro mancato. La telecamera non ha timore a mostrarci le ossa, il viola dei lividi, i liquidi corporei, fino al cadavere steso e coperto da lenzuola bianche del letto dell’obitorio. Cremonini toglie qualsiasi artificio drammatico, i dialoghi sono taglienti, la musica cautamente misurata. Oltre a Borghi, colpisce su tutti la performance di Max Tortora di Giovanni, un padre 60enne che trattiene il giudizio e lascia, nella stanchezza, spazio all’amore paterno. Il controllo della forma permette la ricostruzione e la ricostruzione permette la restituzione. L’ultimo desiderio di Stefano prima di addormentarsi quella sera tra il 14 e il 15 ottobre era un pezzo di cioccolata. Una voglia rimasta tale ma simbolica della sua normalità, anzi della sua umanità. Si dice che un film possa cambiare la realtà. Forse la realtà può cambiare solo tramite sé stessa ma questo film può aprire una prospettiva. Perché distogliere lo sguardo sul dolore non è più possibile. Perché l’unico modo è il mostrare.
Ciao Stè.